Nel corso della prima puntata del festival di Sanremo, come ormai tutti ben saprete, Blanco ha distrutto l’allestimento scenico ideato per la presentazione del suo singolo “L’isola delle rose”. Il cantante bresciano, per via di un problema tecnico che gli impediva di ascoltare il ritorno della sua voce in cuffia, ha iniziato a lanciare e a prendere a calci i vasi di fiori allestiti sul palco. Personalmente non ho mai amato il Festival
e tuttora evito accuratamente di guardarlo, ma l’incredibile risonanza mediatica che ha avuto il gesto del giovane artista, mi ha spinto a recuperare il video dell’esibizione. A prescindere dalla veridicità dell’accaduto, la cui autenticità è ancora da appurare, la cosa che mi ha stupito maggiormente è stata l’indignazione del pubblico, e non parlo solo di quello in sala, ma, soprattutto, di quello più giovane che sui social ha condannato senza riserve il gesto dell’artista, parlando di mancanza di rispetto nei confronti di chi lavora dietro le quinte e dei poveri contribuenti che pagano di tasca propria per assistere ad uno spettacolo tanto ignobile. Le reazioni mi sono sembrate da subito quanto mai spropositate. In fondo, come ammesso dallo stesso Amadeus in conferenza stampa, era già previsto che il cantante avrebbe dato un paio di calci alle rose e che vi si sarebbe rotolato in mezzo. Rose che peraltro erano parte integrante della scenografia allestita per l’esibizione del cantante e che, una volta terminata la canzone, sarebbero state verosimilmente smontate e gettate via. Ora mi chiedo, perché nel 2023 un episodio simile suscita ancora una tale indignazione?
In fondo è dagli anni ‘60 che i musicisti distruggono i palchi sui quali si esibiscono. Pete Townshend degli Who era solito finire i suoi concerti distruggendo la propria chitarra. La prima volta che lo fece fu durante un concerto in un club londinese nel 1964. Un episodio annoverato, dalla celebre rivista Rolling Stone, fra i 50 momenti che hanno cambiato per sempre la storia del rock and roll. Matthew Bellamy, leader dei Muse, detiene persino il Guinness World Record del maggior numero di chitarre distrutte durante un tour. Insomma, alla luce di tanti, ben più importanti ed illustri predecessori, perché l’episodio ha suscitato tanto scalpore? Durante uno scambio di opinioni avvenuto il giorno dopo in merito all’accaduto, un’amica e collega di Stay., mi ha fatto riflettere su come la gente sia probabilmente rimasta indignata, non tanto per il gesto in sé per sé, quanto per il contesto stesso in cui è avvenuto. Sanremo è da sempre considerato il tempio della musica italiana ed il gesto di Blanco, in questo senso, è stato percepito come qualcosa di profanatorio. A tal proposito mi è venuto in mente un episodio analogo avvenuto durante l’esibizione dei Placebo nel corso del cinquantunesimo Festival di Sanremo del 2001. In quella circostanza Brian Molko decise di spaccare la sua chitarra contro un amplificatore. Il cantante, diversi anni dopo l’accaduto, addusse come causa del suo gesto proprio quel contesto estremamente formale in cui i cantanti vennero chiamati ad esibirsi.
“Ci sembrava la reazione più adatta, a quel tempo. Eravamo scazzati perché nessuno ci aveva detto come era il Festival. A nessuno gliene fregava assolutamente niente di noi. Quando venne il nostro momento, c’erano in platea tutti questi vecchi grassi in giacca e cravatta, con le loro donne in abito da sera. Qualcosa ha fatto click nella mia testa ed è scattata una reazione primordiale.”
In quella circostanza Molko volle scuotere le coscienze di una platea di vecchi dinosauri, un pubblico assolutamente disinteressato alla sua musica e all’aspetto artistico del Festival e che si trovava lì solo in quanto parte dell’establishment del nostro Paese.
Mi chiedo se, a prescindere dalla motivazione legata al guasto tecnico, qualcosa non abbia, in un certo senso, fatto click anche nella testa di Blanco.
Probabilmente la voglia di sfuggire alla pressione di un palco e di un contesto estremamente rigido. La voglia di irridere l’istituzionalità di un evento che, nonostante i tentativi fatti negli ultimi anni di “svecchiare” il festival, rimane pur sempre inestricabilmente legato allo Stato. Un evento fondamentalmente classista, a cui per accedere esistono solo due alternative: o si viene invitati, in quanto esponenti dell’élite sociale e governativa del Paese, oppure si è costretti a pagare più di mille euro per un solo biglietto.
Blanco, a differenza di Brian Molko che non ritrattò mai il suo gesto, è tornato immediatamente sui suoi passi e il giorno dopo l’accaduto ha pubblicato sul suo profilo Instagram la foto di un biglietto di scuse la cui didascalia recita “chiedo scusa alla città dei fiori”.
In un passaggio del biglietto il cantante scrive: “rido, rido, rido, rido, rido, rido e grido” . Una frase che mi ha rimandato alla giustificazione fornita da Blanco sul palco subito dopo l’episodio. Interrogato da Amadeus sulle ragioni dell’accaduto, l’artista si è limitato a rispondere candidamente “Mi sono divertito”.
Ma, qual è la matrice di questo divertimento? Mi è venuto in mente un passaggio di un film, uno di quelli che hanno probabilmente segnato la mia adolescenza in modo indelebile. Mi riferisco a Donnie Darko ed in particolare alla scena in cui l’insegnante, interpretata da Drew Barrymore, legge in classe un passaggio del racconto “I Distruttori” di Graham Greene. Nella short story dello scrittore americano un gruppo di ragazzi entra in un vecchio edificio pericolante. Il palazzo appartiene al signor Thomas, chiamato dalla gang, old misery. I ragazzi dopo aver raso al suolo la casa trovano un ingente somma di denaro nel materasso dell’old misery. Sorprendentemente decidono però di non rubare quel denaro, ma lo bruciano, banconota per banconota. Alla fine la casa del signor Thomas viene completamente distrutta da un camion al quale i ragazzi legano uno dei pali di sostegno dell’abitazione, facendola crollare definitivamente. L’autista del camion, di fronte allo spettacolo, non riesce a smettere di ridere. Nel film l’insegnante chiede agli studenti quale sia il motivo che secondo loro ha spinti i ragazzi a comportarsi in quel modo. Donnie, che ne aveva capito perfettamente il senso, risponde che i ragazzi volevano solo vedere cosa succede dopo aver fatto a pezzi il mondo. Il fatto che brucino i soldi trovati nel materasso è ironico. Non c’è nessuna logica dietro le loro azioni, nessun movente, nessuno scopo. Ecco, io credo che dietro al gesto del cantante, sempre ammesso che sia stato completamente sincero, ed, in generale, dietro al rituale della distruzione del palco, ci sia quella stessa spinta distruttiva, che porta i ragazzi del racconto di Greene a distruggere la casa dell’old misery. Una spinta distruttiva che è un gesto di ribellione contro l’establishment, ma che è anche, come dice Darko, parte stessa di un processo creativo. Un anelito dadaista alla distruzione che è anche portatore di cambiamento.

