La genialata che avrebbe dovuto cambiare il giornalismo web

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The New Yorker

di Marzia Baldari

Nel 2014 una startup di nome Blendle ha un’idea geniale. Raccogliere i migliori giornalisti del mondo (dal New York Times, Wall Street Journal, The Economist, Le Monde, tanto per citare alcune delle testate da cui provenivano) e di vendere le loro storie.

Dove sta la genialata?

Anziché costringere i lettori ad abbonarsi a tutti gli articoli di una singola testata, la piattaforma dava agli utenti la possibilità di acquistare solo i contenuti che ritenevano interessanti. Il tutto a un costo micro: dai 10 ai 40 centesimi. C’era anche la sezione “soddisfatti o rimborsati”.

Che meraviglia.

L’iTunes della stampa per intenderci.

Blendle non a caso si era ispirata tantissimo alla piattaforma di Apple e alle sue scelte di mercato adottate nella musica. Frammentazione dei contenuti, minore attaccamento alla testata-brand e più personalizzazione. Gli ingredienti del successo insomma.

Il progetto di news però fallisce e l’azienda Blendle nel 2020 viene svenduta a un gruppo francese. Cos’è andato storto?

Semplicemente le news non sono vendibili come un brano. La musica non è giornalismo e il giornalismo musicale è un’altra cosa. Per sostenere un giornale c’è bisogno di fiducia, di identificazione nei valori di quella testata e di chi ne fa parte.

Poi: i micropagamenti possono essere insidiosi, molto insidiosi. Per un lettore pagare ogni volta per ogni singolo articolo può risultare scocciante, quasi faticoso, avendo l’impressione di non avere mai sotto controllo le proprie spese. E ancora, quale sarebbe il prezzo giusto per un articolo di giornale? Un buon pezzo necessita di tempo e di approfondimento e il lettore di ottimi articoli può leggerne quanti ne vuole pagando 2, o al massimo 3 euro, su testate già rinomate e legittimate.

E quindi?

E quindi, l’idea non ha attecchito. Eppure qualcun altro ci ha riprovato. Si chiama Post, e non c’entra Francesco Costa, giuro. Sul Post si possono condividere, commentare e acquistare articoli di diverse testate. Per comprarli si spendono dei Points (una valuta interna), che possono essere investiti per ricompensare i singoli autori e autrici. Io ho già un account e devo dire che ci ho preso gusto.

Perché questa piattaforma dovrebbe avere successo a differenza di Blendle?

È presto dirlo. Di differente c’è che Post ha anche una componente social. Chissà se basterà. Di sicuro questa “iTunizzazione” delle news cozza con l’irresistibile attaccamento degli editori (di tutto il mondo) al proprio marchio e al rapporto con i lettori.

Cosa però i giornali possono imparare da iTunes?

La priorità del lettore/utente e della sua esperienza di lettura che dev’essere sempre centrale e prioritaria. Infondo se paghiamo per un servizio e perché vogliamo in cambio qualcosa che ci piace, che ci soddisfa, che ci fa stare bene.

E spero di averlo fatto anche io, in piccolissima parte, a te lettore e lettrice che hai deciso di leggermi.