Oggi Stay. è Pellizza da Volpedo. Dal ’68 a oggi: cosa è successo all’attivismo politico?

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Pellizza Da Volpedo, Il quarto Stato, 1901, Galleria d'Arte Moderna di Milano, Milano

Alzi la mano chi non si è emozionato nella scena finale del film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi: una folla di donne in fila davanti una scuola e impazienti per andare a votare, per la prima volta, in occasione del referendum del 1946 che metteva gli italiani, e per la prima volta le donne, davanti una scelta, la scelta che ha cambiato il panorama politico e sociale del nostro Paese: repubblica o monarchia?

Oggi lo scenario è ben diverso, rispetto a quello descritto nel film campione di incassi: siamo una Repubblica democratica, non siamo in guerra, le donne sono libere ed emancipate e le cabine elettorali sono vuote e uomini e donne non sono più impazienti di andare a esprimere il loro parere attraverso quella crocetta che è costata ai padri partigiani anni e anni di guerra. Anzi, il voto, oggi, viene visto quasi come un fenomeno di costume, un’occasione per burlare della classe politica dirigente, dei candidati, o semplicemente per dire che “sono tutti uguali”. Cosa è cambiato dal secolo scorso ai giorni d’oggi in termini di coinvolgimento, ideali e partecipazione attiva alla vita politica?

Basta fornire pochi dati per comprendere quanto sia cambiata la concezione, e di conseguenza, il valore del voto: alle Europee del 2024 l’astensionismo ha vinto contro il 49,66% di votanti, numero nettamente inferiore rispetto agli scorsi anni: nel 2019 il 54,2%, nel 2014 il 57,22%, nel 2004 il 71,1% e nel 1999 il 69,8%. Cosa suggeriscono questi dati? Sicuramente una constatazione certa ovvero che, all’aumentare dei cittadini aventi diritto al voto, i giovani, incrementa progressivamente l’astensionismo, causando di conseguenza, una diminuzione netta degli esercenti il diritto. Perché, quindi, sono proprio le nuove generazioni a non avere motivi per recarsi in cabina elettorale con la stessa brama di Paola Cortellesi e il corteo di donne?

La risposta più semplice e banale, potrebbe essere che essi non si sentono rappresentati da nessuno, e di fatto è vero. Le campagne politiche dei partiti parlano di temi tanto nobili e importanti quanto sconosciuti ai giovani stessi in quanto non li riguardano direttamente e personalmente, togliendo loro quel posto all’interno della società che tanto rivendicano per ottenerlo dall’adolescenza alla maggiore età. E come lo fanno? Con i social, con proteste pacifiche e silenziose virtuali in cui c’è ascolto, comprensione e partecipazione, con l’abbigliamento, con scioperi bianchi. Essi sposano cause circoscritte, slegandosi da quegli ideali nati e spinti da e nel Sessantotto e che oggi sembra non appartenergli più, caratteristica forse più evidente nell’attuale processo di attivismo politico da pare delle nuove generazioni. I nostri padri, madri e nonni hanno lottato per l’acquisizione di diritti e per un’emancipazione a loro sconosciuta che oggi, seppur con molti nei, vengono riconosciuti socialmente e storicamente. Ecco perché nel Sessantotto si assisteva a una forma di attivismo più incisivo, a tratti selvaggio, cui ne conseguiva una partecipazione elettorale più cospicua.

Quindi il contesto è quello che ha fatto e continua a fare la differenza. Nel periodo fra anni Sessanta e Settanta la politica occidentale era grossomodo caratterizzata da ideologie forti e credenze stabili, motivo per cui il Sessantotto si può considerare un fenomeno politicizzato e presto etichettato a sinistra. L’attivismo oggi, si configura invece come post-ideologico non perché non portatore di credenze forti come l’ambientalismo o il sovranismo, ma perché non stabili e quindi non perdurabili nel tempo e, quindi, l’ideologia novecentesca può definirsi morta. Un altro fattore connesso al contesto è la comunità, intesa come gruppo di persone unite da certi valori e ideologie che creano comunione ideologica, compartecipazione e continuità nel tempo e non avevano bisogno di avere una leadership che li guidasse in quanto era leader il nemico da combattere. Oggi, i movimenti politici uniscono migliaia di persone di passaggio nelle piazze attraverso cortei, flash mob, video senza creare delle comunità rappresentative del movimento stesso e con azioni impattanti nel presente ma volubili nel tempo, basti pensare agli ambientalisti che si accaniscono nel tentativo di danneggiare le opere d’arte per contestare le scelte in materia di cambiamento climatico.

L’attivismo politico oggi, dunque, possiede caratteristiche ben diverse da quelle del secolo scorso e forse è proprio questa differenza che sta portando al tramonto della sua natura. Guardare con malinconia e fierezza allo stesso tempo i francesi che hanno ottenuto la sinistra al potere dovrebbe forse farci guardare al passato recente e spingerci a prenderci quello che vogliamo e quello che per noi è giustizia sociale, continuando ad essere attivi, sì, sui social e con forme innovative di attivismo, ma anche seguendo le orme delle generazioni passate che hanno ottenuto maggiori diritti attraverso la perseveranza e il rumore.

Perché quest’opera?

La tela simbolo di Pellizza Da Volpedo rappresenta e ostenta in modo chiaro e l’avanzare della classe operaia verso una sorta di librazione, quella della parola e della rivendicazione, come gli intenti dell’artista si prefiggono. Il quarto stato, appunto, trova un posto preciso nella società, in quella stessa società che non dà loro spazio, affianco al ceto borghese. L’anima dell’attivismo politico, oggi, è ben diversa perché se da un lato i giovani, in particolare, manifestano per cause nobili a loro, esse sono circoscritte all’evento in sé non portandosi dietro il peso e il valore di un’ideologia che muove il loro operato. In questo modo l’attivismo si riduce in semplice presenza mosso dalla voglia di farsi sentire ma non di farsi ascoltare. “Il quarto Stato” o “La libertà che guida il popolo” rappresentano quello che l’attivismo dovrebbe essere ma che non è.

Paola Sireci

Sono Paola Sireci, giornalista pubblicista, laureata in scienze della comunicazione con un master post laurea in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo. Lavoro come social manager e segretaria organizzativa presso l’accademia Stap Brancaccio di Roma. Scrivo gli editoriali e curo la rubrica “Love” di Stay. e lo faccio bene perché amo approfondire l’attualità (necessario farlo per comprenderla) e declinarla soprattutto nella sfera artistica e mi affascina analizzare le diverse sfumature dell’amore.

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