Perché il dirty talk (non) piace?

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Henri Toulouse- Lautrec - The englishman at the Moulin Rouge, 1892

Che sia a letto, in acqua, in spiaggia, all’aria aperta o nei posti più strani, fare l’amore è una delle cose più amate da uomini e donne. Secondo un’indagine condotta da Censis, l’83,5 dai 18-40 anni italiani ha avuto, nell’arco della propria vita, rapporti completi e, tra questi, l’8,4% ha una vita sessuale molto attiva (in pratica fa sesso una volta al giorno), mentre il 33,2% attiva, con rapporti sessuali bisettimanali. In soldoni, il 41,6% ha una vita sessuale piuttosto intensa contro un 27,7% che pratica sesso una volta alla settimana, un 21,2% meno di una volta alla settimana ma entro i tre o quattro mesi e il 3,9% ha una vita sessuale rarefatta, con un’attività sessuale cadenzata una volta ogni cinque/sei mesi, o più.

Insomma, numeri interessanti per due motivi: da un lato perché chiunque rientra in una di queste percentuali e, in secondo luogo, perché, si sa, quando si parla di sesso è inevitabile tapparsi le orecchie, gli occhi e… la bocca. Quanto piace, in effetti, stimolare il partner con movimenti, odori, gusti, suoni, gesti e parti del corpo specifiche, condire il sesso con accessori naturali e non. Ma c’è un aspetto, ancora oggi poco praticato e accettato nella relazione di coppia che coinvolge forse la parte più intima del nostro essere: la parola, meglio chiamata nel gergo sessuale, dirty talk.

Letteralmente, “parlare sporco”, è una pratica sessuale verbale che coinvolge la coppia nella stimolazione di quella parte erotica più profonda dal momento che non c’è contatto. Da un punto di vista psicologico si può considerare che esso, se raggiunto il fine ultimo, sia più efficace rispetto a qualsiasi stimolazione fisica dal momento che va a innescare meccanismi di eccitamento legati alla sola sfera mentale. Studi sul campo hanno rilevato, infatti, che l’ascolto di parole particolarmente erotiche contribuiscano all’accelerazione del battito cardiaco, elemento fondamentale quando si parla di eccitamento. Eliminare i freni inibitori palesando i pensieri che circolano nella mente e che la maggior parte delle volte vengono filtrati dai ruoli, attiva una serie di risposte a livello organico nel partner, compresa una spinta adrenalinica importante che favorisce il raggiungimento di picchi di eccitazione.

Parlare in modo spinto col proprio partner significa esprimere le fantasie erotiche più intime e i pensieri più spinti che attraversano la mente, con espressioni dirette, scurrili, talvolta poco eleganti, ma pur sempre appartenenti al campo semantico della sessualità. Eppure non tutti apprezzano questa pratica erotica. Già, ma chi? E soprattutto perché? Se si pensa al sesso sfrenato, quello che tira fuori la parte più selvaggia di uomini e donne, si collega quasi autonomamente al sesso occasionale, escludendo da questo approccio sessuale la vita di coppia e, quindi, il proprio partner. Relazionare il dirty talking al sesso di coppia viene, per buona parte delle persone, difficile in quanto va a innescare una sorta di ripudio verso quello che è il linguaggio spinto, considerato un insulto personale e non un gioco di seduzione. Sentirsi chiamare “troia” piuttosto che fare apprezzamenti diretti sulla pratica sessuale ricevuta e sulla modalità con la quale viene eseguita, se pronunciati dal partner, fa sentire svalutati, sviliti, considerando quelle parole attacchi personali e distorcendo quello che il dirty talk rappresenta nella sua vera natura e che riguarda la sfera dell’intimità, piuttosto che la realtà della coppia, in quanto circoscritto a quel contesto.

È giusto, dunque, pensare al sesso occasionale come qualcosa di rude e, mutatis mutandis, il sesso di coppia come qualcosa di delicato che non va a toccare quella parte di più animale di ognuno di noi e che ci appartiene? Ma, soprattutto, chi esclude il fatto che le due cose non si cerchino a vicenda, andandole a ricercare al di fuori del proprio partner, occasionale o fisso che sia?

Paola Sireci

Sono Paola Sireci, giornalista pubblicista, laureata in scienze della comunicazione con un master post laurea in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo. Lavoro come social manager e segretaria organizzativa presso l’accademia Stap Brancaccio di Roma. Scrivo gli editoriali e curo la rubrica “Love” di Stay. e lo faccio bene perché amo approfondire l’attualità (necessario farlo per comprenderla) e declinarla soprattutto nella sfera artistica e mi affascina analizzare le diverse sfumature dell’amore.

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