Un inchiesta di Paola Sireci
L’allattamento è il processo con il quale una femmina di mammifero nutre il proprio piccolo, dalla nascita e durante il suo primo periodo di vita, attraverso la produzione e l’emissione di latte dalle mammelle (lattazione) il quale viene poi direttamente succhiato dal cucciolo tramite attaccamento orale al capezzolo materno (qualora presente nella specie). L’allattamento, quindi, risulta essere lo strumento fisiologico e più naturale che hanno tutti i mammiferi, essere umano compreso, per nutrire e accudire la propria prole nel periodo iniziale di vita.
Wikipedia fornisce questa definizione per connotare uno dei gesti più naturali che l’essere umano porta nel bagaglio della propria esperienza personale di vita, seppur senza alcun ricordo nitido. Chiunque, guardando una donna che allatta, rimane incantato da quella tenerezza con la quale la madre si prende cura del proprio figlio con la delicatezza che dovrebbe contraddistinguere il rapporto materno da qualsiasi altra relazione di natura affettiva. Persino Sigmund Freud, che regge tutta la sua psicanalisi nell’interpretazione della mente umana mediante gli impulsi sessuali, affermava, nei suoi “casi clinici”, che durante il rapporto sessuale, la pratica di attaccarsi al seno femminile, negli uomini, e la fellatio nelle donne, sia in realtà l’emulazione e l’evocazione dell’allattamento materno, fondamentale nel e per il percorso di crescita di uomini e donne.
Alcune correnti di pensiero, tuttavia, specie appartenenti a persone con un certo background sociale, geografico e culturale, definiscono l’allattamento una pratica da non esercitare in pubblico per una questione di pudore: mostrare il seno in pubblico è sbagliato, anche se a farlo è una donna che nutre il proprio figlio. Paradossalmente, malgrado questa modalità di pensiero possa essere condivisa o meno, è innegabile quanto persino le persone che riconoscono la pratica oggetto di vergogna, lo fanno in quanto la considerano eccessivamente intima e non condivisibile con i passanti. In ogni caso non riconoscono malizia, seppur neghino una naturalezza e spontaneità che deriva dall’allattamento e che non contempla quindi il nascondersi durante questo gesto.
Cosa succede, però, quando questo processo naturale diventa oggetto di sessualizzazione e mercificazione minorile?
Sembra qualcosa di assurdo e impensabile eppure, facendo un giro su Instagram gli scorsi giorni, mi sono imbattuta in pagine e profili che apparentemente sponsorizzano l’allattamento, i suoi benefici e l’importanza nel processo di crescita del bambino ma, addentrandomi sempre di più nei post e nei commenti, mi sono accorta dell’anomalia ai limiti dell’illegalità che regna sovrana in queste pagine Instagram.
Basta digitare come parole chiave “mother brest feeding” per entrare in questo mondo. Donne truccate pesantemente, con intimo succinto o semplicemente donne distese a letto che si fanno letteralmente spogliare dai propri figli neonati o bambini, palpare e succhiare i seni in posizioni provocanti. Quando ho visto per la prima volta quelle immagini ho pensato di interpretare in malo modo quei contenuti, scorgendo del marcio o della perversione dove non c’era ma, ripensando a quello che dovrebbe essere e che è l’allattamento, ho scinto le due cose distinguendo quello che è amore e tenerezza da quella che è la provocazione. Usare i propri figli, mostrando il loro volto integralmente e invadere la loro sfera privata e la loro privacy per creare contenuti pedopornografici, mercificandoli non solo è reato, ma rappresenta il fallimento della genitorialità e di una società che approfitta di quei contenuti e li apprezza per provare piacere.
C’è, tuttavia, un ulteriore passaggio da fare per comprendere il perché di questi contenuti. Mi sono domandata il motivo per cui tante donne pubblicano sui loro profili privati dei video nei quali allattano i loro figli, con lo scopo di intrattenere e, onestamente, una risposta precisa non l’ho individuata: credo che anche queste madri, a loro volta, creino contenuti per avere traffico sui loro profili social – nonostante non abbia trovato i profili social collegati a loro, dato che non appaiono tag relativi –. Tutto al più mi sono chiesta a chi appartenesse la maternità di queste molteplici pagine, chi è l’autore che raccoglie centinaia di video raffiguranti donne seducenti mentre allattano i loro figli e soprattutto perché ed, effettivamente, mi sono addentrata in un giro di pornografia inconsueta, non canonica per come siamo abituati a fruirla. Ma prima, facciamo un passo indietro.
Il concetto di censura all’interno dei social network, è un argomento spinoso che dipende da due fattori: le linee guida del social in questione e il Paese di appartenenza in cui vengono pubblicate. Nel caso dell’Italia, è risaputo che le linee guida della community di Instagram sono ben chiare riguardo alla nudità (ne abbiamo parlato nella nostra uscita del 17/07/2022 della newsletter) e, nella fattispecie dei capezzoli il social ne consente la visibilità solo in due casi, come pubblicato nell’ultimo documento di gennaio 2023:
Non consentiamo immagini di nudo su Instagram, salvo alcune eccezioni (ad esempio, foto di cicatrici dovute a mastectomia e di donne che allattano al seno). Sono inoltre consentite le fotografie di quadri e sculture raffiguranti nudi.
Opere d’arte, cicatrici e… allattamento.
Ecco l’escamotage perfetto per avallare la pornografia attraverso i social più usati: creare delle pagine che promuovano e sostengano le donne nella fase dell’allattamento attraverso post in cui sono presenti madri che nutrono naturalmente i loro figli secondo le modalità spiegate all’inizio dell’inchiesta. In questo modo, gli autori delle pagine escludono apparentemente un secondo fine di natura sessuale, rimandando però l’utente, attraverso i link in bio delle pagine, a siti per adulti: non i conosciuti YouPorn, PornHub oppure portali di monetizzazione di contenuti come Patreon o OnlyFans, bensì siti trasversali che non evocano il settore della pornografia al fine di eludere l’utente. Nella fattispecie, utilizzano Linktree – piattaforma che consente agli utenti di creare una pagina con più link personalizzabili, utile per condividere vari contenuti attraverso un singolo URL – per rimandare a un elenco di video, visualizzabili tramite l’applicazione Tera Box – servizio di archiviazione cloud che permette agli utenti di caricare, memorizzare e gestire file online-. Aprendo il portfolio multimediale presente su Linktree, è possibile visionare video amatoriali di donne di origine sud-est asiatica che si spogliano e, con atteggiamento ingenuo, mostrano il loro corpo e lo palpano timidamente con movenze impacciate. Video di pochi minuti sufficienti a raggiungere lo scopo. A differenza di Only Fans o Patreon, infatti, che ottengono i proventi direttamente dagli abbonati, nel caso di Linktree il guadagno è indiretto in quanto reindirizza a pagina di affiliazione o abbonamenti quindi, lo scopo originario di guadagno da contenuti pornografici è sicuramente più defilato e passa in sordina, permettendo a queste pagine di poter agire indisturbate dalla censura.
Altri profili, invece, sempre contenenti video di donne che allattano i loro figli in circostanti seducenti, sono collegate a più profili appartenenti a una donna fittizia, Zoe Wu, che evidentemente non esiste: un profilo fake che nei vari profili rimanda nel suo link in bio al sito Fanvue.com, parente di OnlyFans, contenitore di foto e video a sfondo sessuale.
Ci muoviamo, quindi, su due piani differenti ma convergenti: il primo relativo a donne e madri che si filmano durante l’allattamento in posizioni provocanti, usando i figli come strumento per poter mostrare il seno sui social – ma non sappiamo se sono a conoscenza del fatto che vendano la loro immagine per avallare la pornografia -. Dall’altro, invece, ci sono creatori di pagine social che usano questi video – da dove li prendono?- per facilitare la fruizione della pornografia con l’inganno dei minori. In questo secondo caso, c’è un giro di pornografia amatoriale asiatica che non esclude uno sfruttamento di giovani donne che è evidente non abbiamo maestrìa con il settore e ciò è innegabile dalla durata dei video e dalla qualità non solo amatoriale ma al limite della goffaggine. Nulla lascia escludere che ci sia un giro di pornografia che vuole raggirare i canali ufficiali della stessa e passare in sordina per tutelare chi produce contenuti. Tutti, tranne i minori, come sempre, che diventano merce per il piacere degli adulti, in particolare delle proprie madri, impersonificate in Saturno che mangia i propri figli.
